La carta.

La carta. (Español)

Sucede a menudo que las noches se hagan demasiado largas, como hoy, que no logro dormir.
Me siento delante al computador y, visto la hora que es, me pongo los auriculares para no disturbar mientras escucho un poco de música y controlo el contenido de un paquete llegado desde Cuba en la tarde. No quise abrirlo enseguida pues, cada vez que mi madre me hace una sorpresa, termino por llorar y no quería ser visto.
Tomando la cajita amarilla recibida tuve una sensación extraña, como si la hubiese tenido ya entre mis manos. Comienzo abrir el regalo que, en diez años, es el primero que mi madre envía sin avisarme y sin que fuera una de esas fechas en que festejamos más bien por habitud que por sentirlas nuestras sinceramente.
Al interno podría encontrar cualquier cosa, desde un disco de Silvio o Pablo hasta un libro de Daína, uno de esos que leía mil veces cuando, adolescente, me encantaba con sus historias de duendes y hadas para adultos. Pero no, esta vez me equivocaba.
Dentro había un sobre escrito, sin duda alguna por mi madre, la caligrafía es la suya.

“Querido hijo, sé que te sorprenderá el contenido de esta misiva, créeme que no lo estarás más de cuanto lo estuve yo a su tiempo.
¿Recuerdas cuántas historias te inventabas y nos contabas, como si fueran reales, cuando eras pequeño? Siempre pensé que tenías demasiada imaginación; nos contabas historias que  ni siquiera tu abuela lograba inventarse para entretenerte.
Un día, regresando a casa, nos habías contado que, mientras leías un libro bajo la ceiba grande del jardín de la escuela, habías encontrado un güije. Decías que te había pedido de ayudarlo a encontrar su familia, que lo tenías en la mochila y lo debías llevar al río más cercano, para que pudiera reabrazar su madre.
Aquel día pensé que habías tocado el máximo de la fantasía; el río más vecino quedaba a 30 kilómetros de donde estábamos y pasaba, exactamente, delante a la casa donde tu abuela había traído al mundo a mi y a tus tías. Pero tu insististe en modo convencido y sin hacer los caprichos que, a la edad que tenías, podían ser normales. Terminaste por convencernos o mejor dicho, convenciste a tu abuela. Decía que la imaginación de un niño debía ser premiada y , de paso, aprovechaba para ver como estaba aquella vieja casa donde había pasado tantos años.
Hoy, que te cuento esta historia, me vienen en mente todos los detalles de aquel día, como si los estuviera viviendo nuevamente.
Partiste con tu abuela rumbo a la casa vieja, contento como una pascua, contando la historia de tu duendecillo. Al regreso, tenías la carita triste y, al mismo tiempo satisfecha, decías que no lo verías nunca más, pero estabas feliz por haberlo ayudado.
Mi hijo, hace tres semanas fui a Santa Cruz del Sur, sabes que era el aniversario de la muerte de tu abuela. Tus tías y yo fuimos juntas al cementerio y hablando, no sé bien porqué, decidimos pasar el resto del día en la casa donde habíamos nacido. La casa vieja donde jugabas a cazar dinosaurios.
Cuando llegamos, encontramos todo como si el tiempo no hubiera pasado. Sino era por el polvo acumulado, se podía decir que alguien todavía habitaba la casa.
Tu tía Hilda sugirió dar una vuelta por los alrededores. Delia y María aceptaron, mientras yo les dije que iba a ver como estaba, aquella que fue, tu habitación.
¡Me quedé boquiabierta! Tus juguetes todavía estaban en los lugares donde los ponías con cuidado, como nuevos, y al contrario del ingreso, en tu habitación no había ni siquiera un hilo de polvo, era tan extraño, que un escalofrío de inquietud me subió por los pies en el mismo  momento que sentí, detrás de tu cama, un rumor que pensé fuera de insecto y me acerqué.
Me quedé inmóvil. Delante a mis ojos estaba esta cajita amarilla que te mando y dentro…”
Siento un extraño silbido a mi lado que me distrae de la lectura y vuelvo la cabeza para ver que cosa es.
Sobre la caja amarilla, que ahora recuerdo perfectamente donde la había visto, está sentado él, sonriente como siempre, con sus grandes ojos desparrancados que me dice: “ – Llego el momento que sea yo quien te lleve a casa. – ”

La lettera. (Italiano)
Capita speso che le notti diventino troppo lunghe, come oggi, che non riesco a dormire.
Sono seduto davanti al computer e, vista l’ora, mi metto gli auricolari per non disturbare mentre ascolto un po’ di musica e controllo il contenuto di un pacco arrivato da Cuba oggi pomeriggio. Non l’ho aperto ancora perché, ogni volta che mia madre mi fa una sorpresa, finisco per piangere e preferisco non essere visto.
Prendendo la piccola scatola gialla ricevuta ho una sensazione strana, come se, quella cassetta l’avessi già tenuta tra le mani. Comincio ad aprire il regalo che, da dieci anni, è il primo che mia madre invia senza avvisarmi e, senza che sia una di quelle date in cui festeggiamo più per abitudine che per un sentimento d’appartenenza sincera.
All’ interno avrei potuto trovare qualunque cosa: da un disco di Silvio Rodriguez o Pablo Milanés, sino ad un libro di Daìna, uno di quelli che leggevo mille volte quando, adolescente, m’incantava con le sue storie di folletti e fate per adulti. Però no, questa volta mi sbagliavo.
Dentro c’era una busta scritta, senza ombra di dubbio da mia madre, la calligrafia é la sua.
“Adorato figlio, so che ti sorprenderà il contenuto di questa missiva,  credimi che non lo sarai più di quanto lo sono stata io a suo tempo.
Ricordi quante storie t’inventavi e ci raccontavi, come se fossero state reali, quando eri piccolo? Sempre ho pensato che eri dotato di una grande immaginazione; ci raccontavi storie che nemmeno tua nonna riusciva ad inventarsi per intrattenerti.
Un giorno, ritornando a casa, ci avevi raccontato che,  mentre leggevi un libro sotto la ceiba* grande del giardino della scuola, avevi trovato un güije*. Dicevi che t’aveva chiesto aiuto per ritrovare la sua famiglia, che l’avevi nello zaino e lo dovevi portare al fiume più vicino, perché potesse riabbracciare sua madre.
Quel giorno pensai che avevi raggiunto l’apice della fantasia; il fiume più vicino distava 30 km da noi e passava, esattamente,  davanti alla casa  dove la tua nonna aveva dato alla luce me e le tue zie. Però insistesti in modo convinto e senza fare i capricci che, per l’ età che avevi, potevano sembrare normali. Finisti per convincerci o meglio, convincesti tua nonna. Diceva che l’immaginazione di un bambino doveva essere premiata e, così, anche lei ne avrebbe approfittato per vedere come stava quella vecchia casa dove aveva vissuto tanti anni.
Oggi, che ti racconto questa storia, mi vengono in mente tutti i dettagli di quel giorno, come se lo stessi vivendo un’altra volta.
Partisti con Nonna verso la vecchia casa, contento come una pasqua, raccontando la storia del tuo folletto. Al  ritorno, avevi il faccino triste ed, allo stesso tempo, soddisfatto; dicevi che non l’avresti visto mai più, però, eri felice di averlo aiutato.
Figlio mio, tre settimane fa, sono andata a Santa Cruz del Sur, sai che era l’anniversario della morte della nonna. Le  tue zie ed io siamo andate insieme al cimitero e, parlando, non  so bene perché, decidemmo di passare il resto della giornata nella casa dove siamo natte. La vecchia casa dove giocavi a cacciare dinosauri.
Quando arrivammo, trovammo tutto come se il tempo non fosse passato. Non fosse stato per la polvere accumulata, si poteva dire che qualcuno ancora abitava la casa.
Tua zia Hilda suggerì di fare un giro nei dintorni. Delia e Maria accettarono, mentre io dissi loro di voler rimanere per vedere come era messa quella che fu la tua stanza.
Sono rimasta a bocca aperta! I tuoi giocatoli ancora c’erano nei posti dove li avevi lasciati, con cura, come nuovi. Al contrario dell’ingresso, nella tua camera non c’era un filo di polvere; era tutto così strano che, un brivido partì dai piedi nello stesso momento in cui sentii, dietro al tuo letto, un rumore che pensai fosse d’ insetto e mi avvicinai.
Rimasi immobile. Davanti ai miei occhi c’era questa scatola gialla che t’ invio e dentro…”
Sento uno stranissimo sibilo al mio fianco che mi distrae della lettura e giro la testa per vedere cosa sia.
Sopra la scatola gialla, che adesso ricordo perfettamente dove l’avevo vista prima, é seduto lui, sorridente come sempre, con i suoi enormi occhi spalancati che mi dice. – “È arrivato il momento che sia io  a riportarti a casa.”-

*Ceiba – Pianta enorme che, insieme alla Palma Real, domina i paesaggi contadini cubani, dalla quale, per la grande somiglianza con alberi presenti in Africa,   si raccontano molte leggente di origine Afrocubane, come il  Güije.
*Güije – Essere di fantasia che è entrato nella leggenda popolare del folklore cubano. Una specie di folletto di razza nera con occhi spalancati, con carattere variabile e capace di comparire e scomparire  in un battito di ciglia.